Oggi, è il nono anniversario dell’attentato terroristico dell’11 settembre, che ha provocato 2974 vittime e 24 dispersi. Oggi, scrivo per ricordare questo giorno, impresso nella mia memoria.
Ci sono quelle cose, quei fatti, quegli avvenimenti che rimangono impressi nella memoria di ognuno di noi. A me è capitato con l’11 settembre. Ogni volta che vedo sullo schermo l’immagine di quelle torri in fiamme, gli occhi mi diventano lucidi e mi si annoda la gola. Non voglio parlare dell’attentato. Non voglio parlare dei terroristi. Non voglio parlare della guerra in Iraq. Basta cercare sul web e compaiono tanti di quei video e testimonianze che cercano di fare chiarezza su quello che è avvenuto quel giorno. Non posso neanche immaginare cosa accadrebbe se tutta la verità venisse alla luce. Ma non voglio parlare di tutto questo. Io voglio spendere due parole sulle vittime e sulle emozioni che questo avvenimento ha suscitato in me.
Sapete, quando uno è piccolo fantastica in grande. Io sognavo di viaggiare per il mondo e anche New York era tra i miei piani. Mi immaginavo su quelle torri, così alte, come Macaulay Culkin in “Mamma mi sono smarrito a New York”. Guardare il mondo dall’alto.
L’11 settembre è scolpito nella mia memoria, profondamente. La scuola sarebbe iniziata un paio di giorni dopo. Ero sul divano in sala e stavo guardando insieme alla mamma e a mia sorella la Melevisione se Raitre, mentre il mio fratellino stava dormendo. Era la consuetudine di quell’estate. Il pomeriggio lo passavamo guardando insieme Papà Castoro e Tonio Cartonio fare i suoi lavoretti. Quel pomeriggio interrompono improvvisamente la trasmissione. Un aereo si è schiantato contro una delle due Torri. La prima è già in fiamme. La mamma fa un giro sugli altri canali. Alcuni stanno continuando a trasmissioni. Chiama mio papà al lavoro e dice di accendere la tv. Là, non lo sapevano ancora. Le immagini scorrono, i giornalisti cercano di formulare delle ipotesi. Il secondo aereo si dirige verso l’altra Torre. Lo schianto. E’ un attacco terroristico. Le Torri sono in fiamme, bruciano, un fumo nero avvolge Manhattan e come due candele, le Torri continuano a bruciare e il fumo si fa sempre più denso. Su tutti i canali scorrono le stesse immagini. All’improvviso, la prima Torre crolla. E’ un castello di carte che un soffio di vento ha distrutto. Non sono lamiere di metallo, ferro, cemento e vetro. Carte, troppo leggere, troppo deboli per poter rimanere in piedi. Si accascia su se stessa, sparisce. E lascia dietro di sè una valanga fumosa. Un fumo, grigio e denso che si propaga per le vie vicine al World Trade Center. E poi, una pioggia di vetro accompagna la sua caduta. La Torre, che ancora cerca di darsi forza, è rimasta da sola. E’ impressionante. Sembra tutto finito, i vigili del fuoco continuano ad essere al lavoro, a cercare di portare in salvo chi ancora è intrappolato in un inferno di fuoco. La Torre, non regge e raggiunge la sorella che poco prima ha deciso di lasciarsi andare. E come un deja-vu un altro castello di carte si lascia cadere. Un frastuono. Il fumo. E poi il silenzio. Non c’è più niente. Non c’è più nulla. Solo il fumo che avvolge l’isola, come per racchiudere il dolore. No, non siamo ad Hollywood, non è l’ennesimo film catastrofico e apocalittico. No, non si uscirà dal cinema e con un sorriso si andrà a mangiare una pizza. No, non ci sono attori che per le scene pericolose usano gli stunt men. No, non sono effetti speciali. E’ la realtà, dura e crudele.
E quando finisce e non resta più nulla non rimane che continuare a fissare quello schermo, sperando che qualcuno dica che è tutto finto, che non è successo. Ma non accade. E poi ho un flash. Le Torri erano lì, orgogliose nella loro maestosità che dominavano dall’alto tutta Manhattan. Questa era l’immagine sul mio libro di inglese di terza elementare. E quello che vedi nei libri sembra immutabile. Non è vero. Non c’era più.
Poi si cresce e si prende più consapevolezza di quello che è accaduto. Ma ogni volta che qualcuno nomina 11 settembre. Io non posso fare a meno che pensare alle Torri che cadono, che si accasciano su se stesse. E poi, anche solo a pensarlo, con la gola annodata, mi viene da pensare non solo a quelli che sono morti, ma a quelli che si sono miracolosamente salvati. Penso a John e a sua moglie che l’ha convinto a rimanere a casa perchè la febbre era ancora alta, a Jane che ha fatto una sorpresa ai suoi bambini passando la giornata con loro, al signore vestito di tutto punto a cui hanno spostato la visita proprio quel giorno e dovrà andare al lavoro dopo pranzo. Penso a Laura e al suo ragazzo che hanno avuto un disguido: devono cambiare aereo. Penso a tutti loro che il destino ha voluto salvare. E penso a tutti loro, che si sono trovati su un set reale, che stanno vivendo un’esperienza che si pensa possa “vivere” solo guardando lo schermo. Penso a chi ha deciso di volare e non morire bruciato. Non si salverà, non riabbraccerà la sua famiglia, ma potrà volare. Nel vuoto, dall’alto, lui si butta e vola. Penso alle ultime telefonate, alle ultime parole, agli ultimi pensieri di tutti loro. Penso alle loro vite spezzate. Penso a chi ha tentato di salvarli e non ce l’ha fatta. 2974 vite. 2974 esistenze. 2974.
E poi l’aereo al Pentagono e United 93.
Mi vengono le lacrime agli occhi quando vedo le Torri. E penso a tutto questo. Per questo sto scrivendo, per non dimenticare. Mai.
E con le lacrime che mi scorrono sul viso io ricordo l’11 settembre.
Viola
Hai scritto delle parole piene di sentimento, che non si possono non condividere.
Anche io quando sono cadute le torri gemelle stavo guardando la Melevisione,io avevo 3 anni,non capivo,la stavo guardando da sola e ho chiamato la mamma,non mi ricordo proprio tutto,però,sai a 3 anni…
Credo di essermi messa a piangere,ho visto l’interruzione e le torri che esplodevano,non è che ci ho capito molto ,mia mamma mi ha dovuto spiegare cosa stava accadendo.
Almeno questo è ciò che io ricordo.
Grazie, Camilla.
Quando si è così piccoli, Laura, spesso non si capisce bene ciò che ci accade intorno, ma percepiamo lo stesso che sta accadendo qualcosa di importante.